FRIDA E ORLANDO

Memorial of Unborn Children (Martin Hudáček)

Come dimenticare le emozioni legate a questi due nomi. 
No, non le voglio dimenticare, perché sebbene ne abbia vissute di tremende quando ho preso coscienza che sarebbero stati annoverati nel lungo elenco dei bambini mai nati, le emozioni che ho provato quando ho scoperto per la prima volta di aspettare questi due cuccioli, sono state grandiose.
Ho un figlio, Luca, di 14 anni e quando ho scoperto di aspettare Frida era il 2018, 12 settembre 2018.
Che gioia, poter regalare una sorella a Luca, era il mio più grande sogno. 
Luca da quando aveva sei anni stava sperimentando tante emozioni, non belle, dovute alla mia separazione con il padre ed in quel periodo stavamo vivendo un momento molto difficile; da un anno avevamo scoperto che il papà era malato di cancro, di un cancro che non perdona, quindi scoprire che una nuova vita nasceva dentro me ci ha portato un po’ di ottimismo, forse ci ha fatto addirittura pensare che magari potesse accadere un miracolo, che insieme a questa nuova vita, l’altra, anch’essa molto giovane, potesse continuare.
Io avevo sentito Frida quando in punta di piedi era arrivata dentro di me e l’ho sentita quando con la stessa eleganza è andata via. 
Ha avuto i modi di una ballerina. Avevo sempre desiderato una figlia femmina che diventasse ballerina e lei, anche se solo per pochissimo tempo questo sogno me l’ha regalato.
Ho dovuto lasciarla andare. 
Mi sono sentita impotente rispetto ai dolori lancinanti provati mentre andava via e mentre avevo la certezza che non avrei potuto trattenerla e nello stesso periodo anche il papà di Luca l’ha raggiunta. 
Non era sua figlia, perché eravamo separati da anni, ma ricordo con esattezza la luce dei suoi occhi quando gli ho detto che nostro figlio avrebbe avuto una sorella (che poi, per inciso, non ho mai conosciuto il sesso, ma ero certa che fosse femmina). 
Le ultime parole che il papà di Luca mi disse prima di lasciarci furono “riuscirai a dare un fratello a Luca” ed è per questo motivo che quando a Febbraio 2020 ho avuto la fortuna di accogliere dentro di me un altro piccolo seme, ci ho creduto. 
Ho creduto che Orlando fosse il figlio che stavamo aspettando. 
Credo molto alle coincidenze. 
Ai significati dei numeri e delle date.
Mio figlio Orlando (anche in questo caso non conoscevo il sesso, ma ero certa fosse un maschio) sarebbe dovuto nascere lo stesso giorno del compleanno del papà di Luca. Assurdo pensare che fosse un regalo che qualcuno (anche se sono atea) ci stava facendo. 
Assurdo pensare che potessimo vivere finalmente una gioia.
Il disincanto è arrivato, infatti, di lì a poco.
Insieme alla pandemia.
Anche Orlando stava lasciando il cantuccio dove si era rifugiato e lo stava facendo in un altro momento molto difficile delle nostre vite.
La mamma del mio compagno, del papà di Orlando, era in una fase terminale di un male che la affliggeva oramai da anni.
I confini tra le regioni erano oramai chiusi.
Lei abitava in Puglia, noi in Basilicata.
Orlando non c’era più, anche in questo caso i dolori della sua perdita furono lancinanti, non solo dolori fisici, ma ancor più psicologici.
Vedevo il mio compagno molto combattuto.
Io ero impaurita, spaventata, addolorata, ma vederlo stare male così intensificava il mio dolore.
Gli chiesi allora di andare dalla mamma, di trascorrere con lei gli ultimi giorni che le rimanevano.
Fu così che lui andò in Puglia e non potette più tornare a causa dei confini chiusi.
Io e Luca rimanemmo in Basilicata ad elaborare il nostro lutto e ad affrontare forti emorragie e dolori lancinanti a tal punto da pensare me ne stessi andando anche io.
Fui colta da una paura più grande di qualsiasi cosa, tanto da farmi perdere la lucidità in alcune occasioni. La paura di lasciare Luca totalmente solo, senza riferimenti. Per fortuna l’emorragia si placò e con calma e pazienza le cose tornarono alla pseudo normalità. 
Gli ultimi due anni anni sono stati per me anni difficili, tristi, ma da non dimenticare.
Poter accogliere nel proprio grembo un Vita è una fortuna, per quanto poi si stia male quando quelle vite ci lasciano, prendendo la propria strada verso qualsiasi altra parte del mondo, ciò che rimane, passato il dolore grande dei primi tempi, è un sentimento di amore profondo, immenso; una tenerezza morbida ed inspiegabile. 
Come se quel figlio o quella figlia, fossero nati ed avessero vissuto un’intera vita nello spazio di poche settimane o mesi.
Mi sono consolata pensando a quanto scriveva Gibran ne “Il Profeta”.

“I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
......
Potete dar una casa al loro corpo, ma non alla loro anima”

Ecco, questo mi piace pensare, che le loro anime abbiano trovato un luogo meraviglioso dove abitare. Sapere che fluttuano felici tra le stelle dell’universo mi rende serena.