DONNA, MAMMA, MANAGER. È NECESSARIO SCEGLIERE?


Foto dal web



Sì è vero, vorrei tanto un altro figlio, ma allo stesso tempo non voglio rinunciare al mio lavoro.

Dopo la nascita di mio figlio ho iniziato a lavorare pressoché prestissimo. 

Spesso ne ho sentito il peso.

Spesso ho pensato che tornando indietro avrei fatto altre scelte.

Io ho usufruito solo dei mesi di maternità obbligatoria e poi via, a lavoro.

Ma davvero se tornassi indietro farei altri tipi di scelte? Dall’ultimo post di qualche mese fa ci ho riflettuto tanto e sinceramente credo che rifarei esattamente quello che ho fatto.

Ad oggi esco di casa alle 7 di mattina per rientrarvi alle 19.30 di sera circa, in media.

È vero, non trascorro tanto tempo con mio figlio e non ne ho trascorso tanto prima, ma non ho rimorsi, né sensi di colpa, perché credo che sia la qualità a contare più della quantità. 

Io, come donna, non voglio rinunciare alla mia indipendenza ed alla mia affermazione professionale.

Io, come mamma, non voglio rinunciare al mio essere donna.

Durante gli anni ho avuto fiducia nelle maestre, prima, e professoresse, poi, che Luca ha incontrato e sta incontrando durante il suo percorso scolastico e mi sono fidata della qualità del tempo che ero in grado e che sono in grado di offrirgli. Ho puntato tutto sulla qualità e sto continuando a farlo.

Purtroppo non esistono congedi di paternità tali per cui non si può chiedere al proprio compagno di rimanere a casa, quindi se si vuole essere alla pari sul lavoro, se si vuole essere presente a tutti i meeting, se si vuole ambire alla parità salariale, al netto di leggi che lasciano il tempo che trovano, la donna ha un’unica via: affidarsi agli asili nido, alle baby sitter, alle nonne, alla scuola; perché sul lavoro, checché se ne dica, oltre alla qualità del lavoro, fondamentale ovviamente, conta anche il numero delle ore lavorate, in ufficio.

Scegliere di essere una donna in carriera non significa essere delle mamme snaturate, altrimenti perché esisterebbero gli asili e le professioni appena elencate (oddio essere nonne non è una professione, ma sono di grande aiuto per noi mamme).

Io come donna rivendico il mio diritto alla carriera ed alla parità salariale, ma una parità non scritta in una legge, bensì vista nei fatti e se lo si vuole c’è bisogno di “combattere” gli uomini sul campo. Da casa, in smart working o in grembiulino, non ce la si fa. 

Per niente. 

Se dovessi avere un altro figlio dunque cercherò di educarlo e crescerlo come ho fatto e come sto facendo con il primo figlio, certo spero al netto di varie disavventure che mi hanno “investita in pieno” nel corso della mia vita “precedente”.

Quindi, per chiudere il post, no, non bisogna scegliere: si può essere contemporaneamente mamma, donna e manager e rinunciarvi sarebbe un grande errore. 

A mio parere ovviamente. 


SCELTA NON IMPOSIZIONE

https://drive.google.com/uc?export=view&id=1X3CbgIzETXnLYMV7qR-sG3lbLVzVTVEA

Io vado a 1000 come tantissime donne, ma ammiro in una maniera esagerata quelle donne che si dedicano totalmente alla famiglia. Parlo di quelle donne che accudiscono uno, due, tre figli o solo il marito, compagno e lo fanno con amore e convinzione. 
Non è facile, lavorare 24 ore su 24; perché è di questo che si tratta. 
Lavoro duro, ma vuoi mettere le grandi soddisfazioni? 
Vedere crescere i propri figli, riuscire a prendersene cura, tutti i giorni a tutte le ore. 
Io non l’ho fatto, ho sempre lavorato tanto, troppo. Se tornassi indietro lascerei fare un po’ di più al “maschio” e mi godrei di più mio figlio. 
Perché quando si tratta di una scelta non si parla di disparità. 
Siamo libere di scegliere cosa fare della propria vita. 
Quando invece si tratta di subire  delle imposizioni allora no, non va bene. 
Se si dovesse decidere di lavorare allora si dovrebbero avere le stesse opportunità dei maschi. Se un uomo decidesse di stare a casa con i figli dovrebbe avere le stesse tutele di una donna. 
La vera parità è questa. 
È ovvio che qualcuno della coppia deve lavorare perché qualcuno a casa lo stipendio lo deve portare. 
La vera parità si avrà quando non farà più scalpore che sia la donna a farlo. 
Quando si raggiungerà questo traguardo la donna non si sentirà da meno per il fatto di scegliere di fare la casalinga.  
In quel caso sarà una scelta e non un’imposizione.

FRIDA E ORLANDO

Memorial of Unborn Children (Martin Hudáček)

Come dimenticare le emozioni legate a questi due nomi. 
No, non le voglio dimenticare, perché sebbene ne abbia vissute di tremende quando ho preso coscienza che sarebbero stati annoverati nel lungo elenco dei bambini mai nati, le emozioni che ho provato quando ho scoperto per la prima volta di aspettare questi due cuccioli, sono state grandiose.
Ho un figlio, Luca, di 14 anni e quando ho scoperto di aspettare Frida era il 2018, 12 settembre 2018.
Che gioia, poter regalare una sorella a Luca, era il mio più grande sogno. 
Luca da quando aveva sei anni stava sperimentando tante emozioni, non belle, dovute alla mia separazione con il padre ed in quel periodo stavamo vivendo un momento molto difficile; da un anno avevamo scoperto che il papà era malato di cancro, di un cancro che non perdona, quindi scoprire che una nuova vita nasceva dentro me ci ha portato un po’ di ottimismo, forse ci ha fatto addirittura pensare che magari potesse accadere un miracolo, che insieme a questa nuova vita, l’altra, anch’essa molto giovane, potesse continuare.
Io avevo sentito Frida quando in punta di piedi era arrivata dentro di me e l’ho sentita quando con la stessa eleganza è andata via. 
Ha avuto i modi di una ballerina. Avevo sempre desiderato una figlia femmina che diventasse ballerina e lei, anche se solo per pochissimo tempo questo sogno me l’ha regalato.
Ho dovuto lasciarla andare. 
Mi sono sentita impotente rispetto ai dolori lancinanti provati mentre andava via e mentre avevo la certezza che non avrei potuto trattenerla e nello stesso periodo anche il papà di Luca l’ha raggiunta. 
Non era sua figlia, perché eravamo separati da anni, ma ricordo con esattezza la luce dei suoi occhi quando gli ho detto che nostro figlio avrebbe avuto una sorella (che poi, per inciso, non ho mai conosciuto il sesso, ma ero certa che fosse femmina). 
Le ultime parole che il papà di Luca mi disse prima di lasciarci furono “riuscirai a dare un fratello a Luca” ed è per questo motivo che quando a Febbraio 2020 ho avuto la fortuna di accogliere dentro di me un altro piccolo seme, ci ho creduto. 
Ho creduto che Orlando fosse il figlio che stavamo aspettando. 
Credo molto alle coincidenze. 
Ai significati dei numeri e delle date.
Mio figlio Orlando (anche in questo caso non conoscevo il sesso, ma ero certa fosse un maschio) sarebbe dovuto nascere lo stesso giorno del compleanno del papà di Luca. Assurdo pensare che fosse un regalo che qualcuno (anche se sono atea) ci stava facendo. 
Assurdo pensare che potessimo vivere finalmente una gioia.
Il disincanto è arrivato, infatti, di lì a poco.
Insieme alla pandemia.
Anche Orlando stava lasciando il cantuccio dove si era rifugiato e lo stava facendo in un altro momento molto difficile delle nostre vite.
La mamma del mio compagno, del papà di Orlando, era in una fase terminale di un male che la affliggeva oramai da anni.
I confini tra le regioni erano oramai chiusi.
Lei abitava in Puglia, noi in Basilicata.
Orlando non c’era più, anche in questo caso i dolori della sua perdita furono lancinanti, non solo dolori fisici, ma ancor più psicologici.
Vedevo il mio compagno molto combattuto.
Io ero impaurita, spaventata, addolorata, ma vederlo stare male così intensificava il mio dolore.
Gli chiesi allora di andare dalla mamma, di trascorrere con lei gli ultimi giorni che le rimanevano.
Fu così che lui andò in Puglia e non potette più tornare a causa dei confini chiusi.
Io e Luca rimanemmo in Basilicata ad elaborare il nostro lutto e ad affrontare forti emorragie e dolori lancinanti a tal punto da pensare me ne stessi andando anche io.
Fui colta da una paura più grande di qualsiasi cosa, tanto da farmi perdere la lucidità in alcune occasioni. La paura di lasciare Luca totalmente solo, senza riferimenti. Per fortuna l’emorragia si placò e con calma e pazienza le cose tornarono alla pseudo normalità. 
Gli ultimi due anni anni sono stati per me anni difficili, tristi, ma da non dimenticare.
Poter accogliere nel proprio grembo un Vita è una fortuna, per quanto poi si stia male quando quelle vite ci lasciano, prendendo la propria strada verso qualsiasi altra parte del mondo, ciò che rimane, passato il dolore grande dei primi tempi, è un sentimento di amore profondo, immenso; una tenerezza morbida ed inspiegabile. 
Come se quel figlio o quella figlia, fossero nati ed avessero vissuto un’intera vita nello spazio di poche settimane o mesi.
Mi sono consolata pensando a quanto scriveva Gibran ne “Il Profeta”.

“I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
......
Potete dar una casa al loro corpo, ma non alla loro anima”

Ecco, questo mi piace pensare, che le loro anime abbiano trovato un luogo meraviglioso dove abitare. Sapere che fluttuano felici tra le stelle dell’universo mi rende serena.